Il funzionamento del motore Atkinson
Solo qualche anno dopo che il Sig. Otto inventò il motore a cui diede il proprio nome, il Sig. Atkinson ci mise mano e andò a creare un nuovo motore con il fine di abbattere i consumi, lavorando sui tempi delle fasi di compressione e di espansione.
In sostanza, nel ciclo Atkinson si anticipa la chiusura delle valvole di aspirazione durante la loro fase oppure, in alternativa, la si ritarda durante la fase di compressione. Lo svantaggio però è un ingombro maggiore del motore e un maggior peso, due caratteristiche che non hanno certo reso interessante la modifica.
Con la tecnologia che avanza, qualcuno ha avuto l’idea di riprendere in mano il motore Atkinson e vedere se, a distanza di oltre cento anni, qualcosa fosse migliorabile. A discapito di una riduzione di potenza, si è riusciti a sostituire alcune parti tra le più ingombranti con altre meno ingombranti.
Variando i tempi di compressione e di espansione, si riducono anche gli “spazi” lasciati nella camera di scoppio la quale, ricevendo meno quantità di miscela di carburante, restituirà una energia minore in fase di spinta.
Motore Atkinson: ottimo per l’ibrido
Con il ciclo Atkinson il rapporto di compressione è inferiore a quello di espansione, portando a un ciclo con elevato rendimento termodinamico ma, di contro, con bassa potenza specifica (anche un 30% in meno rispetto ad un motore Otto con la medesima cubatura di cilindrata).
Inoltre riducendo la quantità di aria aspirata, si va a ridurre anche la quantità di carburante bruciato ogni ciclo e per questo necessita di una “spinta” ulteriore derivante da altra fonte. La mancanza di potenza viene infatti integrata dal motore elettrico: da qui la miglior adattabilità di tale all’ibrido.
Una fautrice di questi motori è Toyota, la quale ha iniziato a utilizzarli per spingere le prime sue vetture ibride a fine anni Novanta e ora anche Hyundai e Kia stanno iniziando a impiantare questo motore a ciclo Atkinson sui propri modelli ibridi Ioniq e Niro.