Arriva un momento in cui il possessore di un’automobile anzianotta inizia a cambiare il proprio umore, quando pensa al suo amato quattroruote: passa dall’insoddisfazione per il fatto di non poter godere delle prestazioni di un veicolo nuovo, al sorrisino che nasce sulle labbra per il fatto che si avvicina la data in cui diventerà “d’epoca” e usufruirà di vantaggi su bollo e assicurazione; “è valsa la pena tenerlo fin qui”, dice a se stesso. Ma quella delle auto storiche è una materia recentemente rivista in maniera profonda; tutto sta cambiando in merito, è bene informarsi al meglio!
Quali criteri definiscono “storica” un’auto anziana
C’è quasi sempre un grosso equivoco che si verifica su questi argomenti: vengono chiamate “auto storiche” quelle che invece per la legge sono “auto di interesse collezionistico”. Ossia, semplicemente, le auto “vecchie”: quelle con più di 30 anni dalla costruzione (erano 20 fino alla legge di stabilità del 2014). Le auto storiche, invece, sono dei singoli esemplari che possono essere iscritte nei registri ASI perché – a prescindere dalla loro età anagrafica – hanno vissuto eventi importanti, o sono state di proprietà di personaggi celebri, o erano state costruite per partecipare a competizioni piuttosto che per finalità di ricerca scientifico-tecnologica. Insomma, auto “speciali”; va da sé che poche possono fregiarsi di questo titolo. Nel comune linguaggio colloquiale, come si diceva, gli stessi proprietari chiamano “auto storica” quella più vecchia di 30 anni, iscritta all’ASI. Le auto d’epoca invece sono tutto un altro paio di maniche, da non confondersi assolutamente: le differenze? Le trovate qui.
Quindi le auto storiche devono essere iscritte all’ASI?
No, in teoria; ma in pratica… Stiamo attraversando un periodo di transizione, di lotte intestine, di ognuno-fa-come-crede (ma ci rimette l’automobilista). L’Automotoclub Storico Italiano è già stato “sfiduciato” in tal senso sia dall’Agenzia delle Entrate che dalla Corte di Cassazione, entrambi soggetti che si sono pronunciati contro l’obbligo di iscrizione: nel momento in cui un veicolo rispetta i parametri previsti, non serve un’ulteriore certificazione rilasciata da un soggetto privato (quale è per l’appunto l’ASI), che richiede in realtà una doppia iscrizione: quella al proprio registro, e prima ancora quella a uno dei club storici affiliati, ciascuna con il proprio relativo costo, ovviamente. Lo Stato dice che questi oboli non vanno più versati, le regioni invece sono in gran parte schierate con l’ASI e continuano a richiedere tali pagamenti; recentemente, il Ministero delle Finanze ha stabilito che a decidere è il Governo. Ma, nei fatti, tale pronunciamento non è del tutto messo in atto; vedi la situazione in dettaglio qui.
Assicurare le auto storiche
Prima del giro di vite del Governo di cui si diceva, quando per essere “storiche” le auto dovevano aver compiuto 20 e non 30, spesso gli organi competenti in materia di certificazione (quindi in pratica l’ASI) venivano accusati di un certo lassismo in merito; ossia, di far passare come auto storiche qualsiasi ferrovecchio in grado di deambulare. Che si sia stati di manica larga è indubbio: il numero di auto definibili “storiche” è aumentato a dismisura dal 2000 a oggi, con il risultato che molte auto non belle, non importanti, ma semplicemente troppo vecchie hanno preso a circolare sempre più sulle nostre strade. Troppo vecchie, e troppo insicure; gli incidenti che le vedono coinvolte sono aumentati, e di pari passo sono cresciuti i costi per assicurarle.
Stop alle regioni: decide lo Stato. Il bollo si paga!
Gli ultraventennali privati dell’agognata facilitazione sono 500.000 secondo l’ASI, 4 milioni per il Governo; numeri comunque importanti; la materia della tassazione diventa però più complessa nel momento in cui dal 2011 sono le regioni a disciplinarla. Così, ciascuna ha iniziato a operare come meglio riteneva; alcune hanno mantenuto le esenzioni, altre si sono subito adeguate alla direttiva statale. Ma a mettere la parola “fine” su ogni discussione è arrivata la risoluzione n.4/DF dell’1/4/2015, con cui il MEF stabilisce che “la tassa automobilistica (bollo auto) non può ritenersi tributo proprio della regione (…), rientra nell’ambito della sfera di competenza esclusiva dello Stato”, dunque le regioni potranno modificarne le aliquote entro i limiti fissati dalla legge ma “non possono modificarne il presupposto” (ossia, il fatto che il bollo vada sempre e comunque pagato). Le auto d’epoca e storiche pagano ora una tassa di circolazione annua che a seconda delle regioni va dai 25,82 ai 28,40 euro per le auto e dai 10,33 agli 11,36 per le moto; quelle di interesse collezionistico, fra i 20 e i 30 anni di età, pagano invece esattamente come tutte le “normali” automobili.
Assicurazioni: i prezzi restano ancora contenuti (per ora)
Questi ultimi veicoli saranno sottoposti a revisioni biennali, non saranno tenuti all’obbligo delle cinture di sicurezza se non originariamente previste, e sono ora al centro di profonda revisione dei costi delle polizze da parte delle compagnie: il cambiamento del loro status non lascia indifferenti gli operatori del settore. I costi devono ancora essere modificati, ma tenderanno con ogni probabilità a subire qualche ritocco. Oggi comunque con Toro la polizza per auto d’epoca costa 94 €/anno, mentre AXA ne chiede 117 e BPU fa cifra tonda: 100 euro. Queste le più convenienti (altre arrivano fino ai 170 euro, in alcuni casi comprendendo convenzioni per l’assistenza stradale) Tutte si basano sulla classe di merito fissa (senza meccanismo bonus/malus), comprendendo la guida libera (più persone – in genere fino a quattro – possono guidare la vettura) e l’opzione “garage” (pensata per i collezionisti che posseggono più vetture di questo tipo). Unico requisito per accedere a queste polizze: avere 23 anni d’età. Le auto anzianotte non possono essere guidate da giovanotti troppo poco esperti.