Molti invidiano la loro preparazione. Salvano vite umane, ci curano quando ne abbiamo bisogno. Certo, quando sbagliano hanno l’obbligo di assumersi le proprie responsabilità, né più né meno delle altre categorie. Ma in questo momento per i chirurghi la vita professionale è meno rosea di quanto un’analisi superficiale lascerebbe supporre.
Non è questa la sede per schierarsi, non avrebbe senso. Eppure il moltiplicarsi delle richieste di risarcimento è un campanello d’allarme, un dato di fatto più volte rilevato da operatori e associazioni di categoria. Il rimprovero fatto alle compagnie assicurative è di aver alzato un muro che rende molto difficile per il professionista proteggersi dagli effetti collaterali del cosiddetto “rischio clinico”.
L’ultima denuncia viene dal Collegio Italiano dei Chirurghi che ha scritto una lettera al presidente del Consiglio Mario Monti e al Ministro per la Sanità Renato Balduzzi.
Una richiesta di aiuto che non è caduta nel vuoto. Qualcosa si sta muovendo, poi bisognerà vedere se i tempi della politica saranno in grado di combaciare con quelli della società. Intanto i numeri ci permettono di leggere in controluce un fenomeno che inizia a preoccupare. Secondo Ania, l’Associazione fra le Imprese Assicuratrici, nel 2011 sono state avanzate circa 34 mila richieste di risarcimento per danni patiti in sala operatoria o in corsia.
Poche o tante che siano, è pur sempre vero che – come ha spiegato il Collegio Italiano dei Chirurghi – manca un sistema complessivo di gestione del rischio clinico tale per cui le aziende ospedaliere si tutelano in via preventiva. Allo stesso tempo, il Collegio richiama l’attenzione sulla mancanza di polizze siglate dalle strutture sanitarie a favore del singolo chirurgo, mentre pone l’accento sulla necessità di dotare di copertura assicurativa anche i casi di negligenza da parte dell’equipe medica (laddove non si rilevi una responsabilità del singolo professionista, ma del gruppo) oppure dovuta a carenze strutturali e organizzative della struttura sanitaria.
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