Con l’approvazione del divorzio breve i tempi si sono accorciati: per poter chiedere il divorzio basta un anno di separazione in caso di disaccordo tra i coniugi e solo sei mesi se si tratta di una separazione consensuale.
Divorzio breve: cos’è e cosa cambia
Il divorzio breve è stato introdotto con la legge n. 55/2015, riguardante “Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi.”
Il cambiamento più importante riguarda la riduzione della durata minima del periodo di separazione. Fino al 2015 erano richiesti almeno tre anni di separazione prima di poter procedere con la richiesta di divorzio. Ora si può divorziare dopo un anno dalla data di separazione e in caso di separazione consensuale i tempi sono ancora più veloci: la richiesta di divorzio può essere presentata anche dopo soli sei mesi.
Divorzio breve e separazione: cosa fare?
La legge sul divorzio breve non ha modificato la procedura, ma ha soltanto accelerato i tempi. Quindi non c’è stato nessun cambiamento per quanto riguarda i passaggi necessari per arrivare al provvedimento definitivo di divorzio: che la coppia sia d’accordo sul come dirsi addio (separazione consensuale) o che, al contrario, sia determinata a combattere con unghie e denti per il saluto definitivo al proprio rapporto (separazione giudiziale), sarà sempre necessario passare per la fase preliminare della separazione legale.
Una fase in cui i futuri ex coniugi devono comparire davanti al Tribunale competente, o rivolgersi al proprio legale o all’ufficiale di stato civile come vedremo meglio oltre, per dare atto che non c’è più volontà né possibilità di proseguire con il rapporto e la convivenza, dando conto delle condizioni a cui decidono di lasciarsi.
Dovranno dunque regolamentare, concordemente o con l’aiuto del giudice, diversi aspetti:
- la spartizione di eventuali beni in comune;
- la gestione dei figli(che, sebbene oggi vengano di norma affidati ad entrambi i genitori, di fatto sono “collocati” presso uno solo dei due, con cui vivono, mentre all’altro spettano giorni e periodi di frequentazione stabiliti);
- la pattuizione di eventuali alimenti all’ex coniuge o il mantenimento per i figli.
Insomma, tutto ciò che era gestito a due durante il rapporto matrimoniale, deve ora essere organizzato in maniera diversa per poter funzionare anche di fronte allo sciogliersi della coppia.
Separazione giudiziale: ci vuole 1 anno
Se prima della riforma 2015 la legge 898/1970 imponeva ai coniugi di attendere 3 anni di vita separata prima di poter ottenere il definitivo scioglimento, oggi i tempi si sono decisamente accorciati.
Nel caso di separazione giudiziale, in cui la futura ex coppia non riesce a trovare un accordo e si rimette al giudice perché stabilisca le condizioni a cui il proprio matrimonio deve terminare, basterà ora un solo anno di attesa.
Le parti dovranno quindi rivolgersi ciascuna ad un avvocato, perché le rappresenti e assista, portando il giudice a conoscenza dei fatti utili ad una decisione sulle condizioni da stabilirsi. Sommariamente, verranno valutate le ragioni della separazione, eventuali condotte a favore dell’uno o dell’altro coniuge, i beni in comune, la presenza di figli, la documentazione che dimostra la necessità di alimenti o mantenimento in un certo importo.
L’anno di attesa dovrà trascorrere dalla separazione e verrà calcolato a partire dalla data in cui i coniugi compaiono davanti al Presidente del Tribunale per la necessaria udienza. Sempre valido il requisito della mancata interruzione: in questo anno la separazione dei coniugi deve protrarsi ininterrottamente ed un’eventuale interruzione potrà e dovrà essere eccepita dalla parte chiamata in causa.
Trascorso l’anno e mantenuta la condotta di una vita separata, i due quasi ex coniugi potranno accedere, senza difficoltà e senza ulteriori attese, alla procedura di divorzio breve.
Separazione consensuale: bastano 6 mesi
Si usa il termine “consensuale” per definire la separazione chiesta per volontà di entrambi i coniugi, che si presentano davanti al Giudice con un verbale di accordo già redatto. Al tribunale, in questo caso, è chiesto soltanto di verificare ed avallare le condizioni che le parti hanno già stabilito per porre fine al matrimonio.
Grazie alla nuova normativa sul divorzio breve, in caso di accordo sulla separazione, sarà possibile chiedere il divorzio in appena 6 mesi dalla fase di separazione, e ciò anche in presenza di figli della coppia.
Comunione dei beni e separazione: scioglimento da subito
La legge 55/2015 ha introdotto una novità anche in tema di comunione tra i coniugi, laddove questo regime sia quello a suo tempo scelto dalla coppia.
In caso di separazione la comunione dei beni si scioglierà già in seguito alla prima udienza di comparizione. Nel caso della separazione giudiziale lo scioglimento avverrà nel momento in cui il giudice autorizzerà le parti a vivere separate, mentre in caso di separazione consensuale dal momento in cui verrà sottoscritto il verbale di separazione omologato.
La normativa del così detto divorzio breve è entrata in vigore a maggio 2015 ed è stata resa applicabile anche ai procedimenti in corso in quella data.
Divorzio breve: come fare?
Una volta raggiunto il termine minimo di durata della fase di separazione, il divorzio breve va richiesto al tribunale competente mediante il deposito di un atto di ricorso, che deve essere redatto da un legale appositamente incaricato. A questo atto è necessario allegare:
- estratto per riassunto dell’atto di matrimonio;
- certificato di stato di famiglia di entrambi i coniugi;
- certificato di residenza di entrambi i coniugi;
- copia del decreto di omologa (per la separazione consensuale) o della sentenza di separazione del tribunale (per la separazione giudiziale);
- dichiarazione dei redditi di entrambi i coniugi.
Negoziazione assistita per separarsi e divorziare
Il D.l. 132/2014, convertito con modifiche nella legge 162/2014, introducendo la procedura di negoziazione assistita per la risoluzione stragiudiziale delle controversie, ha considerato anche le pratiche di separazione e divorzio, nonché le modifiche alle condizioni pattuite in quella sede.
Oggi è dunque possibile separarsi, divorziare o apportare delle modifiche alle condizioni con cui la coppia si era sciolta utilizzando lo strumento della negoziazione assistita.
Anche in questo caso, le parti collaborano, con l’assistenza obbligatoria di un avvocato per ciascuna, alla redazione di una convenzione con la quale viene stabilita la separazione o il divorzio, oppure con cui si interviene sulle condizioni già fissate, modificandole.
Presupposto indispensabile per il successo della negoziazione è l’accordo tra i coniugi, non essendoci qui nessun giudice a fare da arbitro tra i due. Può comunque avvenire che la proposta di negoziazione, proveniente da uno dei due, non venga accolta dall’altro, che sceglie di non aderire.
Tale scelta può però essere valutata dal giudice del successivo giudizio, al fine di decidere come ripartire le spese di procedimento. In ogni caso, le parti devono sempre essere informate dal proprio legale della possibilità di conciliare e delle possibili conseguenze.
Devono anche essere informate che nella procedura di negoziazione tutte le parti si impegnano a collaborare con lealtà e buona fede e che l’intera procedura è protetta dal vincolo della riservatezza a cui tutti i partecipanti sono tenuti.
Per questa ragione, un’eventuale (parecchio ardua) impugnazione dell’accordo poi raggiunto, non potrà essere seguita dal medesimo avvocato che ha assistito la parte nella negoziazione.
Negoziazione assistita e separazione
Ricorrendo alla negoziazione assistita ci si può separare senza dover ricorrere a un giudice, ma con la sola presenza degli avvocati dei coniugi.
Attraverso la convenzione i coniugi possono stabilire la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la separazione consensuale o modificare le condizioni per la separazione stabilite in precedenza.
Negoziazione assistita e divorzio
Si può ricorrere all’istituto della negoziazione assistita anche in caso di divorzio. In questo caso la convenzione servirà per decretare lo scioglimento del matrimonio.
La procedura richiesta dalla legge è la stessa prevista in caso di separazione. La convenzione deve essere redatta in forma scritta e in presenza di almeno un legale.
L’accordo effettivamente raggiunto e firmato, con sottoscrizione delle parti e dei legali, che certificano l’autenticità delle firme, deve essere trasmesso al Pubblico Ministero:
- senza termini di tempo, se non ci sono figli minori;
- entro 10 giorni dalla sottoscrizione, in caso di figli minori.
Dopo aver ricevuto l’accordo il Pubblico Ministero emette un nulla osta nel primo caso e un’autorizzazione nel secondo, una volta accertato che l’accordo tutela l’interesse dei figli minorenni. La convenzione, così autorizzata e autenticata, dovrà essere trasmessa da ciascuno dei legali all’ufficiale di stato civile del comune in cui l’atto di matrimonio fu iscritto o trascritto.
Divorzio in Comune? Si può fare
La legge n. 162/2014 sulla negoziazione assistita ha anche stabilito che i coniugi possano separarsi, divorziare e modificare i propri accordi in merito, con un accordo concluso davanti all’ufficiale dello stato civile. Anche in questo caso, competente a ricevere l’accordo è il comune in cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio, nonché, in alternativa, il comune di residenza di uno dei coniugi.
Per poter richiedere il divorzio in comune è necessario presentare all’ufficiale di stato civile soltanto tre documenti:
- una copia dei documenti di identità dei coniugi;
- un’autocertificazione in cui i coniugi attestino il loro indirizzo di residenza, il luogo e la data del matrimonio e l’assenza di figli;
- l’atto di separazione: la copia della sentenza di separazione in caso di ricorso al giudice, il decreto di omologazione in caso di separazione consensuale oppure l’originale dell’accordo di separazione sottoscritto nella procedura di negoziazione assistita.
Non c’è, in questo caso, alcun obbligo di assistenza legale. Proprio per questo motivo, però, un simile accordo può essere usufruito soltanto da coniugi privi di figli minorenni, o maggiorenni incapaci, o portatori di handicap, oppure economicamente non autosufficienti.
Inoltre, tale accordo non può essere utilizzato per regolare questioni economiche attraverso accordi di trasferimento patrimoniale. I coniugi, dunque, non possono disporre in esso una cessione della casa coniugale, ma nemmeno pattuire mantenimento o qualunque altra utilità economica.
In buona sostanza, questo sistema è accessibile soltanto a coloro che, senza figli o con figli grandi ed autonomi, intendano semplicemente far cessare il proprio matrimonio senza altro disporre, accedendo ad una modalità di divorzio breve davvero semplice e snella.
In concreto, ecco cosa avviene: i due coniugi si presentano davanti all’ufficiale di stato civile e dichiarano la propria intenzione di separarsi o divorziare e le eventuali condizioni (fermo il divieto sopra visto). Le dichiarazioni vengono raccolte e trasfuse in un accordo, sottoscritto dalle parti.
In caso di separazione o divorzio, dopo trenta giorni dalla redazione dell’accordo, le parti vengono riconvocate dall’ufficiale di stato civile, per confermare le proprie dichiarazioni. Se lo fanno, l’accordo produce effetti da quando è stato firmato, non dalla nuova convocazione. Se non si presentano, la loro assenza equivale a mancata conferma dell’accordo, come una sorta di diritto di ripensamento.
Divorzio breve: i costi
Il divorzio breve è anche economico? Dipende da quale strada si sceglie di percorrere.
In caso di procedimenti giudiziali di separazione e divorzio è previsto il versamento allo Stato di un contributo unificato attualmente pari a € 43,00, per le procedure consensuali, e € 98,00 per quelle giudiziali.
A tale somma si aggiungono le eventuali spese vive (ad esempio, lettere raccomandate e notifiche) e i compensi degli avvocati. Questi ultimi variano in ragione del valore della causa e dell’eventuale complessità dell’incarico, ma è sempre possibile chiedere ed ottenere un preventivo di massima all’atto di conferimento dell’incarico.
In mancanza di tale preventivo e conseguente accordo sui compensi, il giudice nel liquidare farà riferimento alle tabelle di parametri forensi, introdotte con D.min. 55/2014, che prevedono dei valori medi complessivi che vanno da un minimo di circa 600 euro ad un massimo di circa 20.000 euro.
Come detto, sono parametri di valori medi, lo stesso decreto prevede ipotesi che giustificano un incremento del compenso come pure una riduzione, legate anche a ciò che concretamente avviene nel giudizio. Questa è la ragione per cui non è possibile, a priori, conoscere il costo esatto al centesimo di un procedimento avanti al tribunale.
Le medesime tabelle sono applicabili per determinare il compenso del legale che dia la propria assistenza in una negoziazione assistita. Sebbene le tabelle non prevedano questa specifica attività, ritengo sia applicabile la tabella relativa alla attività stragiudiziale, sempre ripartita per valore della causa, ma con importi più bassi rispetto a quella dell’attività davanti al tribunale.
Da ultimo, pressoché gratuita è la procedura davanti all’ufficiale di stato civile, per la quale potrà al massimo essere richiesta una marca da 16 euro e per cui, come visto, non è obbligatorio l’avvocato, anche se è facoltà delle parti farsi comunque assistere, ma non sostituire, dal proprio legale di fiducia.